Tragedia nello Stabilimento Magni di Vicenza
Sfogliando vecchi documenti, le scartoffie logore dal tempo e le pubblicazioni d’epoca, si trovano notizie curiose o addirittura sconcertanti, come quel tragico episodio accaduto nello Stabilimento Magni, nel lontano giugno 1903.
All’articolo arrivai per caso, mentre cercavo notizie di un altro evento successo pochi mesi dopo il terribile Incidente.
Fu prendendo visione dei giornali dell’epoca che la mia attenzione fu attratta da un titolo apparso tra le pagine de “La Provincia di Vicenza” di quello stesso anno.
Il titolo anticipava una descrizione raccapricciante dei fatti avvenuti venerdì 19 giugno 1903:
Il drammatico suicidio di uno sconosciuto nello Stabilimento Magni di Vicenza
Nello specifico, un giovane fu trovato nascosto all’interno di un tombino da alcuni operai del grande Stabilimento Magni, che si trovava in Campo Marzo.
Ma dove si trovava precisamente il grande fabbricato e qual era la sua principale attività produttiva?
Appunti brevi sulla storia dello Stabilimento Magni
Gli esordi della produzione industriale e chimica a Vicenza sono riconducibili all’imprenditore lombardo Magno Magni, il quale costruì, verso la fine dell’Ottocento, un primo stabilimento lungo l’attuale Viale Mazzini, a nord delle mura scaligere (cfr. “Ottocento Vicentino” di Adriano Navarotto, pag. 264).
L’area designata, ora occupata dai grandi palazzoni degli istituti bancari e dal nuovo teatro comunale, è storicamente conosciuta con il toponimo “Campo di Gallo“.
Secondo alcuni studiosi il toponimo deriverebbe dalla tradizionale fiera che si teneva nel giorno di San Gallo, secondo altri storici, invece, il nome avrebbe origine dalla famiglia che intorno all’anno Mille spadroneggiava in città.
Non è chiaro, però, quale tra le due ipotesi raccolte e descritte dal Giarolli nei testi sulla toponomastica vicentina risulti attendibile, ma certamente l’area interessata dalle sue ricerche fu oggetto delle installazioni industriali fino agli anni settanta del Novecento.
Ricordo, infatti, ancora le poche, vecchie mura della grande acciaieria e fonderia – eredità del secondo dopo guerra – lungo via dei Cairoli e il “torrioncino” degli uffici amministrativi che si affacciava in via Battaglione Framarin, prima della loro inesorabile demolizione.
Ma facciamo un passo indietro e torniamo alle origini dello Stabilimento Magni.
Quali notizie circolano sull’attività del noto imprenditore e sugli esordi della produzione chimica a Vicenza?
Posso senz’altro affermare che, nel momento in cui scrivo queste righe, il documento più antico mi apparve leggendo una copia del Giornale dei Lavori Pubblici e delle Strade Ferrate, uscito mercoledì 9 gennaio 1889, nel quale il Ministero di agricoltura, industria e commercio “ha recentemente prese le seguenti decisioni in merito ad affari relativi al servizio delle strade ferrate:”
Ha consentito la rinnovazione per un altro periodo annuale della concessione alla Ditta Magni & C. di Vicenza relativa al trasporto di acidi, solforico e cloridrico, ai prezzi della tariffa speciale Numero 109, serie D con vincolo di traffico minimo annuale di 150 vagoni.
Ma la produzione chimica dello Stabilimento Magni non si limitò al solo commercio delle due tipologie di acidi citate sopra: negli Annali di Statistica Industriale pubblicati a Roma nel 1892 si precisa:
Nel Comune di Vicenza la Ditta Magni & C. possiede una fabbrica di prodotti chimici, nella quale si produce principalmente acido solforico, acqua ossigenata, solfati di soda, d’allumina, di magnesia, allume sodico, soda in cristalli, pirolignite di ferro e grassi lubrificanti per le ferrovie.
La produzione di acqua ossigenata era destinata all’imbianchimento della seta, alla produzione delle penne da scrivere e “di altri articoli fini per signora” e venduta al prezzo di 60 lire al quintale nelle città e nelle provincie di Milano e di Como.
Nel 1892 l’azienda chimica di Magno Magni & C. era dotata di tre caldaie a vapore della forza di 70 cavalli per la produzione dei liquidi e per l’alimentazione di un motore di 15 cavalli.
All’epoca le persone occupate alla lavorazione degli acidi e quelle impiegate alla manutenzione dei macchinari erano 58.
Lascio immaginare i rischi e i pericoli ai quali gli operai erano esposti giornalmente e l’inquinamento cui era soggetto il terreno dove sorgevano gli stabilimenti industriali.
Particolare indignazione suscitò il continuo versamento dei liquidi chimici nelle acque della vicina roggia Seriola, che scorreva lungo le mura scaligere di viale Mazzini fino raggiungere Campo Marzo.
Adriano Navarotto raccolse le testimonianze di fine Ottocento e nella sua primaria e interessante opera letteraria così descrive gli avvenimenti:
Venne una nuova industria, quella degli acidi e concimi chimici, che la ditta Magno Magni & C. aveva piantato negli ultimi anni dell’Ottocento in Campo di Gallo: tutti gli scolatoi e rigagnoli limitrofi cominciarono a colorarsi di un giallo molto sospetto, variegato da sinistre chiazze turchine, e quella bobbia che si rappigliava e si accagliava lungo le sponde andava lentamente a guadagnare la Seriola.
La situazione peggiorò quando venne costruito il secondo Stabilimento Magni sul Campo Marzo, tra la stazione ferroviaria e quella delle tramvie (seduta del Consiglio Comunale del 22 aprile 1899).
Noncurante delle conseguenze igieniche e ambientali, il personale addetto alla produzione di solventi-chimici iniziò a inquinare anche le acque del vicino Retrone, suscitando la rabbia delle numerose massaie che scendevano lungo le sponde del fiume per lavare i panni.
Pure i pescatori a bordo di piccole imbarcazioni o allineati sulla riva, muniti di canna e lenza o di reti a immersione, notarono le insolite chiazze giallastre intorbidire l’acqua.
La fauna ittica, colpita a morte per asfissia o per i veleni ingeriti, iniziò ad accompagnare tristemente la schiuma galleggiante prodotta e versata dal nuovo Stabilimento Magni.
Accolte le lamentele dei residenti del tratto compreso tra la zona dietro alla stazione ferroviaria, al Ponte Furo fino al Teatro Eretenio, il Consiglio Comunale impose all’azienda di “provvedere entro sei mesi alla purificazione delle acque uscenti dai suoi laboratori, affinché non continuino ad inquinare e colorire le acque pubbliche”.
Purtroppo, nonostante gli accorati appelli dettati dal Comune di Vicenza, gli interventi di bonifica non furono realizzati neppure dopo il limite di tempo imposto.
Per un miglioramento delle condizioni ambientali si dovette attendere il 1911, quando i grandi impianti chimici dell’imprenditore Magno Magni furono assorbiti dall’azienda “Montecatini” di Guido Donegani.
I nuovi industriali arrivati a Vicenza installarono le migliori e moderne attrezzature per la depurazione delle acque e per la neutralizzazione delle esalazioni degli acidi, ingrandendo così lo stabilimento di Campo Gallo.
In Campo Marzo, invece, i fabbricati vennero definitivamente smantellati.
La scoperta di un estraneo all’interno dell’industria chimica
Accadde verso le nove del mattino, secondo le informazioni riportate dai giornali, il ritrovamento di un giovane mentre alcuni uomini erano impiegati al traino di un modesto vagone merci.
Sorpresi nel vederlo spuntare da un tombino, gli operai chiesero il motivo della sua presenza all’interno dell’area dello stabilimento.
Lo sconosciuto, che indossava un elegante abito chiaro, una camicia a righe bianche e rosse e un cappello di paglia, rispose in modo intelligibile alla domanda e arrancando con i piedi nel fango, cercò un appiglio per uscire dall’improvvisato riparo notturno.
Il giovane apparve subito in evidente stato confusionale, ma riuscì a chiedere ai dipendenti dello stabilimento industriale un po’ d’acqua per pulire scarpe, calzoni e lavarsi le mani.
Un operaio si offrì quindi di accompagnarlo ad una pompa idrica, con la speranza di incrociare il capo fabbrica o qualche impiegato al quale affidare lo sconosciuto.
I due attraversarono i binari per arrivare ai locali con le vasche adibite all’estrazione del rame e, infine, arrivarono nei pressi delle grandi macchine motrici, dove all’interno di un locale funzionava una pompa per lo scarico dell’acqua a getto continuo.
L’operaio lasciò il giovane solo, e raggiunse gli uffici per avvertire un responsabile del reparto aziendale.
Approfittando del momento, il giovane sconosciuto si avvicinò a due porte con segnali che intimavano il divieto d’ingresso, causa pericolo di morte.
Ignorando l’obbligo a non oltrepassare la soglia, entrò in uno dei locali e si fermò di fronte a una grande e velocissima ruota.
Il ragazzo sporse il busto sopra la balaustra di protezione e infilò la testa fra i raggi della puleggia di trasmissione per la compressione dell’aria.
La morte sopraggiunse istantanea per sfondamento della calotta cranica e il corpo fu balzato indietro, cadendo supino sul pavimento.
Accortosi del fracasso, il fuochista (tale Alberto Bon) corse terrorizzato in sala macchine richiamando l’attenzione dei colleghi.
La salma fu coperta da un telo di fortuna e trasportata in una stanza isolata, dove rimase in attesa dell’arrivo del medico e della questura.
Nelle tasche dell’abito furono trovati un orologio con catena, tre matite, una scatola di cerini, un libretto di canzoni popolari e un biglietto sul quale era scritta la volontà di uccidersi perché incapace di guadagnarsi da vivere.
Non fu possibile identificare il nome del giovane suicida fino a quando non giunse segnalazione della sua scomparsa.
Il riconoscimento della salma
Nei giorni seguenti all’accaduto la stampa raccolse le indagini e i risultati delle ricerche effettuate dalla polizia locale.
Furono pubblicati articoli con i dati anagrafici del suicida e dei suoi famigliari, che ometterò per rispetto della persona e dei parenti tuttora residenti in provincia di Padova.
Il ragazzo, dunque, era originario di Bassanello, ma domiciliato a Brusegana presso l’abitazione dello zio pizzicagnolo, che lo considerava e lo trattava come un figlio.
Il giovane nacque il 15 agosto del 1880 e soffriva di una grave forma di depressione, che nel 1903 veniva ancora etichettata come “nevrastenia”, nonostante il diffondersi in Europa delle basi e degli studi sulla psicoanalisi di Sigmund Freud.
Quel lontano giorno del mese di giugno 1903 l’uomo, che non aveva ancora compiuto 23 anni, uscì alla sera per recarsi al circolo del quartiere dove partecipò al gioco delle bocce e infine si diresse verso un’osteria situata nei paraggi, rimanendovi fino a tarda ora.
Da quel momento in poi A. B. (iniziali delle sue generalità, che preferisco mantenere anonime) fu dichiarato ufficialmente scomparso.
All’insaputa del caro zio, che si allarmò nella notte per la sparizione dell’amato nipote, A. B. decise di allontanarsi in tarda serata dalla provincia di Padova, quindi salì sul treno diretto a Vicenza con un biglietto di sola andata.
L’epilogo della fuga notturna è purtroppo noto. Alla drammatica morte del ragazzo seguì lo straziante riconoscimento del corpo e la disperazione dei parenti.
Bibliografia
- Vicenza nella sua toponomastica stradale, Giambattista Giarolli, edizioni tipografiche Istituto San Gaetano – Vicenza, 1955 (prima edizione).
- Ottocento Vicentino, Memorie di un protagonista, Adriano Navarotto. Edizione a cura di Ermenegildo Reato, 1984 – Stocchiero Editore.
- Annali di Statistica Industriale, fascicolo 1B – notizie sulle condizioni industriali della provincia di Vicenza, 1892. Edizioni del Ministero di Agricoltura, Industria e Commercio.
- L’Industria Vicentina nel Novecento di Giorgio Roverato, 2004.
- Giornale dei Lavori Pubblici e delle Strade Ferrate, anno XVI – 1889 Roma. Stabilimento tipografico G. Civelli.
- “Il drammatico suicidio di uno sconosciuto”. Articolo tratto da La Provincia di Vicenza, giugno 1903.